La Passione italiana

Siamo in piena epidemia e i numeri non accennano a scendere.
Anzi, a Milano raddoppiano e a Roma, ben lontana dai focolai del Nord, aumentano.
Ma il messaggio a reti unificate che ci arriva è che la situazione sta migliorando e che i numeri sono in calo.
In pratica state tranquilli che è tutto sotto controllo. Come dichiarato con fermezza a febbraio, ripetuto con convinzione a marzo e ribadito con calma serafica dal Presidente della Repubblica ieri.
Certo.
Peccato che, nonostante la deplorevole scelta mediatica di relegare la conta delle vittime nella parte finale del bollettino serale, i numeri siano inequivocabili: quasi Ventimila morti in meno di due mesi.
20.000.


Annunciati ogni sera alla fine, come se fossero trascurabili, nel patetico tentativo di rassicurare il popolino con i numeri dei guariti.
Ogni cazzo di giorno questa pantomima disgustosa che snocciola dati inutili e propagandistici con il solo fine di tranquillizzare la popolazione disorientata.

Sempre circa 600 al giorno, mentre tutto il paese è in quarantena totale da una quarantina di giorni, circa.
Che non è uno sciogli lingua, ma una triste realtà.
Da più di un mese, infatti, la maggioranza degli italiani segue diligentemente le regole del lockdown e chi deve uscire per fare la spesa, in un’atmosfera che nemmeno nel primo Madmax, rispetta tutte le norme del distanziamento sociale.


Abbiamo indossato le introvabili mascherine prima che ce lo consigliassero e abbiamo iniziato a disinfettare le cose che acquistiamo prima che ce lo suggerissero.
Abbiamo rinunciato a vedere i nostri genitori per preservarli e abbiamo iniziato a lasciare le scarpe sui pianerottoli.
Abbiamo fatto bene il compitino, andando spesso oltre le indicazioni suggerite, con uno spirito civico che, a parte poche eccezioni, farebbe invidia ai finlandesi.


E nonostante questo, i numeri non scendono come ci saremmo aspettati.
Ogni giorno ci viene detto che il picco è passato, che siamo nel plateau e che presto arriverà la tanto agognata discesa.
Ma la discesa non arriva mai.
A Bergamo le ambulanze continuano ad essere l’unico inquietante rumore ad abitare la città e le pompe funebri l’ultimo straziante passaggio ad accompagnare i tanti sfortunati che non ce l’hanno fatta.
La forza devastante con la quale questo virus ha colpito la Lombardia è al di sopra di qualsiasi attesa.
E appare difficile riuscire a vedere la fine di quest’incubo, mentre sono ormai visibili gli errori che lo hanno determinato.
La sottovalutazione del problema, con la conseguente carenza di sufficienti dispositivi di protezione per i sanitari e la mancanza di protocolli univoci, hanno spianato la strada al virus, che ha iniziato a diffondersi indisturbato proprio dagli ambienti ospedalieri e dalle RSA.
I luoghi da sempre deputati alla cura e al conforto, in breve sono diventati l’ultima stazione di una via Crucis umana, percorsa da migliaia di nonni, madri, padri e figli, che se ne sono andati da soli, senza nemmeno il conforto di un ultimo saluto.
Morti senza nome, finiti nella conta quotidiana delle vittime che sanciscono l’andamento dell’epidemia e che, prima o poi, esigeranno una spiegazione.


Qualcuno che spieghi perché in Corea del Sud, a Singapore o a Hong Kong non si sia consumata questa tragedia immane.
Qualcuno che spieghi l’assenza di una prevenzione seria, nonostante l’inequivocabile monito fornito dalle cronache in arrivo da Wuhan.
Qualcuno che spieghi perché non vengano messe in pratica le misure adottate da Singapore, Hong Kong e Corea del Sud, dove i decessi quotidiani si contano sulle dita di una mano, mentre a noi serve la calcolatrice.
In una diabolica equivalenza, gli zeri dei chilometri di distanza dalla Cina sono finiti nella conta dei nostri contagi e decessi, risparmiando invece le popolazioni più vicine all’origine del virus.
Ma non è opera del famoso battito d’ali di un’anonima farfalla a causare questo tsunami di dolore a Occidente e una relativa calma in Oriente.
Non ci si può nascondere dietro all’imprevedibilita’ dell’evento, perché abbiamo la prova che l’evento è circoscrivibile.
È solo che noi non l’abbiamo saputo fare.
Un po’ per incapacità e un po’ per mancanza di strumenti, anche economici.
La via, dagli Stati che ce l’hanno fatta, è stata indicata: prima si ferma tutto per contenere, poi si testa per isolare e solo dopo si pensa a riaprire, sempre nel rispetto delle nuove regole di distanziamento sociale.
Noi ci siamo fermati al primo gradino e non ci spieghiamo perché i risultati non arrivino, ma fingiamo che siano arrivati per riavviare l’economia, ripetendo come un mantra che le cose stanno migliorando, per poi prendercela con gli indisciplinati cittadini che, rincuorati dai propagandistici messaggi rassicuranti, ricominciano a muoversi.
Mettiamo sotto il tappeto le migliaia di contagiati, i decessi e la bomba degli asintomatici, per tranquillizzare un popolo che, dopo essere stato costretto in casa per settimane e senza un degno paracadute economico, a breve verrà costretto a ripetere la tragedia lombarda.
Perché signori, dopo avervi detto che le mascherine non servivano perché in realtà non c’erano, vi convinceranno che i tamponi, i test sierologici e le cure domiciliari tempestive fornite dalle USCA non servono.
Perché non abbiamo le competenze, la tecnologia adatta e i soldi per garantirle a tutti.

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